lunedì 31 luglio 2017

6 CONSIGLI PER NON TRASFORMARE UNA VACANZA STUDIO IN UNA... CACANZA STUDIO!

Serve dirlo? Anche stavolta, contributo artistico della Maxi!
Mi ricorda un po' lo stile Burberry, non trovate?
Estate, classico tempo di valigie, di vacanze, di viaggi (noi la scorsa settimana abbiamo avuto un’estate di 13 gradi e pioggia torrenziale, ma è un dettaglio!). Cosa c’è di meglio, allora, che combinare la maggior quantità di tempo a disposizione, con l’opportunità di entrare a contatto con una lingua, proprio nel paese in cui si parla? Esatto, miei perspicaci amici, oggi voglio parlarvi dei viaggi studio, anzi, voglio condividere con voi una riflessione sui viaggio studio, a partire dalle mie esperienze personali, per tirare fuori pro e contro di un’esperienza che tanto più sarà utile quanto più sarà strutturata.  Tra un sorso di menta ghiacciata e una croccante fettina di noce di cocco, addentriamoci nel discorso, sognando il fascino delle valigie da chiudere e di un aereo da prendere.

Personalmente, ho fatto esperienza di due tipi di viaggi studio: gli scambi culturali scolastici, tra le scuole medie e le scuole superiori, e il classico viaggio prenotato tramite agenzia apposita. Tutti quanti sono stati per me momenti di enorme apprendimento, non soltanto dal punto di vista strettamente linguistico, ma anche e soprattutto da quello delle “culture comparate”, se così vogliamo definirlo. Una lingua è un po’ come un buon cibo, ed assaggiarla lì dove nasce ha tutto un altro sapore; per questo ho voluto fare delle riflessioni, esposte per voi in una piccola lista – che non dobbiamo certo annoiarci! – perché, anche nel mare magnum dei viaggi studio, ci sono aspetti utilissimi e altri che, beh, sono magari sopravvalutati, o addirittura evitabili.

So che molti genitori investono in queste attività, nella speranza che i loro pargoli in 1/2/3 mesi “almeno imparino l’inglese (o lingua a vostra scelta)!”. Ecco, mi spiace darvi una delusione, cari genitori, ma non è proprio così. Soprattutto se fino al giorno prima di partire, il virgulto era poco sopra il livello ”the cat is on the table”. Il viaggio studio, preso così quasi fuori da un contesto, ha poche probabilità di funzionare per questi due validissimi motivi:

1.     Imparare una lingua è un’attività che richiede un impegno, ed un’immersione, costanti. La pretesa per cui andare un paio di mesi l’anno in un paese e frequentare 5 ore di scuola sia sufficiente per imparare una lingua è, quanto meno, un po’ irrealistica. E’ vero, è innegabile, le lingue si imparano meglio sul posto, ma pensateci bene: quanto di questo posto viene effettivamente veicolato se si frequenta una scuola e si vive in un college? Si crea una sorta di atmosfera “ovattata” che può avere anche ben poco del paese in cui ci si trova.
2.       L’andamento è in genere più o meno questo: prima settimana di studio matto e disperatissimo, entusiasmo alle stelle, sei carico a pallettoni. Dopo il primo weekend passato a girare da solo, a parlare con i muri o a saltare da un canale all’altro di una tv incomprensibile, ti ricordi che hai lavorato/studiato tutto l’anno e che, oh, vorresti pure riposarti, e chi te la fa fare tutta questa fatica per scambiare anche solo due parole? E’ così che si tira fuori uno strumento, o forse un’arma, che si mette in gioco solo nei casi in cui la sopravvivenza è a rischio, uno strumento che ignoriamo, o forse deridiamo, prima di sapere quanto ci servirà: il RADAR RACCATTA-CONNAZIONALI.  Da quel momento in poi, preda di una sordità selettiva, ci lasceremo guidare dalle nostre orecchie che capteranno solo suoni provenienti dalla lingua madre. Saremo capaci di stanare altri italiani anche nel pieno di un concerto dei Prodigy, a loro giureremo eterna devozione e amicizia – o almeno, finché il viaggio durerà -  ed ecco che l’immersione ne “la cultura e la lingua del paese ospitante” è bella che finita.

   Quindi, ci stai dicendo che i viaggi studio sono inutili? Niente affatto. I viaggi studio sono una risorsa preziosa non soltanto, come dicevo, per l’apprendimento della lingua, ma anche per comprendere altre culture, confrontarsi, mettersi in discussione. L’apertura mentale, c’è forse un regalo più grande che potremmo farci, o fare ai nostri figli? 

    Quello che mi sento di consigliare, quando si sceglie di affrontare questo tipo di attività, è progettarla con cura e attenzione, per favorire al massimo l’immersione culturale e ricavare il più possibile dall’esperienza. Stiamo parlando, in linea di massima, di un piccolo “lusso” nell’ambito dello studio delle lingue (non parlo tanto dell’aspetto economico, benché esso abbia la sua importanza, quanto della possibilità di ritagliarsi un tempo e un luogo per l’apprendimento delle lingue veramente ad hoc, cosa che non sempre è possibile), vale la pena prendersi del tempo per fare le scelte più mirate.

·         Non dimenticate che il viaggio studio è un quid in più, in un percorso di apprendimento che deve necessariamente durare anche tutto il resto dell’anno – non che ci si debba esercitare come i Marines delle lingue, ma è chiaro che per fruttare deve essere sostenuto da un lavoro continuo, costante anche se piccolo. Ad esempio, se il nostro contesto familiare e sociale non fosse bilingue, alle bambine (ok, soprattutto alla Maxi) non basterebbero certo le visite dai nonni per imparare l’italiano; non avrebbero ragione di ciò né i genitori italiani, né le radici italiane, né la bellezza della lingua, né altro che la costanza con cui, in casa, si parla italiano. Come detto sopra, se puntate solo su questa esperienza per imparare una lingua, investite i vostri soldi in una vacanza vera e propria.

·         Datevi degli obiettivi realistici (fortemente legato al punto sopra): se partite da 0, tre mesi non saranno mai sufficienti per imparare una lingua. Avranno un valore sicuramente più alto rispetto ad un corso di tre mesi fatto a casa vostra, vi permetteranno di vedere la lingua calata nel suo contesto, di legarla anche a esperienze reali, che è un modo fantastico di tenere a mente le cose, ma… Una lingua è un mondo, è l’espressione di una cultura nel tempo e nello spazio, è vita, anzi, sono milioni di vite che si intrecciano… Realisticamente, come si può impararla in tre mesi (è stato scientificamente provato che il processo di osmosi, per quanto riguarda l’apprendimento delle lingue, non vale)?

·         Scegliete la possibilità di essere ospitati in famiglia piuttosto che un college o un dormitorio, per avere la possibilità di mettere in pratica continuamente quello che si apprende, per vivere la cultura. Quello che questa esperienza può dare in termini di apprendimento, di adattamento, di apertura mentale, di umanità non ha paragoni con altro. Io sono sempre andata come ospite: non tutte le famiglie potevano corrispondere al mio “ideale” di famiglia, come è giusto che sia, ma ogni esperienza mi ha lasciato moltissimo, quello che l’ambiente impersonale di un college o un dormitorio non può darti.

·         Scegliete di partire da soli: perché è dura, non lo nego, ma partire con amici significa, al 99%, non parlare mai la lingua al di fuori delle ore di studio. Per quel prezzo, a questo punto, potete pagarci un corso di un anno comodamente a casa vostra.

·         Scegliete di fare un viaggio di meno, piuttosto, e fatelo bene. Partite quando vi sentite pronti, quando sentite che sarete in grado di assimilare al meglio, e non perché lo fanno tutti. La motivazione è la prima vera molla che vi permette di apprendere, sfruttatela come innesco per far partire il razzo al momento opportuno.

·    Scegliete, se è possibile, un’esperienza lavorativa anche stagionale, anche breve,all’estero; in base all’età, alla possibilità, e se avete almeno una base di lingua. L’ambiente di lavoro è estremamente performante anche se impegnativo, nessuno lì è pagato per ripetervi le cose fino a che non le capite, e la capacità di sopravvivenza linguistica verrà fuori molto prima, tumultuosa, magari inizialmente meno ordinata ma senza dubbio atta al suo scopo, che è la comunicazione.

La vacanza studio è un'opportunità, una possibilità, una scelta in più: scegliete di renderla di valore, e di dare un valore al vostro impegno.

Buon viaggio!


martedì 25 luglio 2017

Chi ben comincia… minicorso di sopravvivenza per mutismo selettivo (detto anche: di questa lingua non so un’acca!)

Ci sono scenari, quando si apprende una lingua, che parlano di impegno profuso ma rilassato, che odorano di libri freschi di stampa, che iniziano tutti con i saluti, e poi magari passano ai giorni della settimana, e ai nomi delle professioni, inserendo il verbo essere e il verbo avere, ed il verbo “chiamarsi”… così, in scioltezza.
Dimenticate questo scenario. Immaginate qualcosa di molto più pulp, tipo che di botto vi trovate catapultati in un supermercato, dovete fare spesa, e a parte le cose ovviamente riconoscibili non capite niente di quello che avete davanti, e finite per comprare un coso che sembrava una salsiccia e invece è una roba spalmabile al fegato orripilante (true story, baby!).
Voglio rendere più morbido il vostro approccio rocambolesco, conscia che non tutti riescono ad avvicinarsi ad una nuova lingua frequentando con calma un corso, prendendo le misure, assimilando i suoni per buttarli fuori solo quando serve; dei corsi, importantissimi, parleremo a tempo debito, ma ora voglio offrirvi un piccolo prontuario d’emergenza per quelle situazioni in cui ci si ritrova a dover capire e parlare una lingua che, letteralmente, si ignora. Questo può essere valido per un espatrio quasi su due piedi, ma anche per una piccola fuga vacanziera, quando si va a trovare qualcuno all’estero e sarebbe molto impressionante ma poco utile saper dire “John Goodman è un ingegnere aerospaziale” e non “ho mal di pancia” se vi vengono delle coliche degne di essere ricordate.

Cosa serve sapere, all’inizio, subito subitissimo al più presto?

I saluti
Tutti, sempre, perché la gentilezza e l’educazione prescindono dall’attuale ignoranza (o non conoscenza, se preferite) della lingua del posto.

Comunicazione spicciola
  • -          Grazie
  • -          Prego
  • -          Per favore
  • -          Mi scusi, non parlo la lingua X
  • -          Può ripetere più lentamente, per favore?


Le indicazioni stradali
Lo so, sono una bestia nera della comunicazione. Anche nella nostra lingua, le chiediamo e sistematicamente non capiamo dove ci stanno per mandare (speriamo non a quel paese!) e andiamo dalla parte opposta, e poi, dovevamo girare a destra o a sinistra? Ma quanti sono 300 metri, abbiamo camminato già un chilometro!!! Nonostante i navigatori abbiamo nettamente migliorato la nostra vita in questo senso, possono sempre esistere deviazioni, sensi alternati non ancora aggiornati, piante di città difficili, indicazioni poco visibili sommerse in un mare di altri cartelli. Ricordo che nonostante le perfette indicazioni scritte, in Giappone non riuscivo a trovare la mia scuola – a Tokyo, gente, quasi 10.000.000 di persone per uno sproposito di palazzi, capite il livello di difficoltà?! Poi c’ero davanti, ovvio, ma il palazzo era altissimo e i cartelli infiniti, ci avrei impiegato mezza giornata a leggerli tutti! Quindi animo, cerchiamo di imparare le indicazioni base della lingua che ci occorre. Imparate anche a dire “mi sono perso, abito in via XX” così, nel caso doveste perdervi, non vi manderanno girovagando per il vasto mondo.

I nomi dei servizi principali
“Ospedale”, “comune”, “polizia”, “ambasciata”, ”consolato”, “vigili del fuoco”. Perché, non lo sapete che in Germania dovete andare ad iscrivervi alla Casa dei Ratti (Rathaus, "comune", che ovviamente non vuol dire casa dei ratti!)? Figuracce ne abbiamo?

Salute
Stento ad immaginare emergenze più reali di quelle che riguardano la salute; ovviamente nessuno si augura una malattia o un incidente, ma anche se alcune avventure vengono affrontate con un pizzico di incoscienza, sarebbe bene imparare al più presto almeno le seguenti espressioni:
  • -          Ho mal di… testa/pancia/dolori al petto (e simili)
  • -          Ho perso i sensi
  • -          Mi sono tagliato/bruciato
  • -          Sono stato aggredito
  • -          Chiamate un’ambulanza!
  • -          Non riesco a respirare

Mi raccomando, se prendete abitualmente farmaci, informatevi di come si chiama il principio attivo nella lingua di arrivo per poterlo richiedere in caso di bisogno e non rischiare di assumere una medicina per un'altra. Stesso discorso se soffrite di qualche malattia cronica, o di allergie, imparatene il nome per permettere ai sanitari di intervenire senza problemi in caso di necessità.

Altro piccolo consiglio, di tipo non linguistico ma culturale: informatevi prima su che tipo di assistenza sanitaria esista nel paese dove andrete, e valutate se non sia il caso di fare un’assicurazione, l’assistenza medica in alcuni paesi è a pagamento e anche salata.

Emergenze varie
  • -          Sono stato derubato
  • -          Chiami la polizia!
  • -          Ho bisogno di aiuto!
  • -          Ho perso i documenti


Cibo
Dato che mangiare ci serve, ed in moltissimi casi ci piace pure, se ci troviamo in un paese straniero di cui non conosciamo ancora la lingua, ma abbiamo necessità di fare spesa, ecco una piccola lista di frasi che possono esserci utili senza perderci (troppo):
  • -          Quanto costa?
  • -          Posso pagare con la carta?
  • -          Dove si trova il pane/ il latte/ la carne/ il pesce/ il sale/ l’olio ecc.
  • -    Questo prodotto è senza lattosio/ frutta a guscio/glutine ecc.? Sono allergico.


    Portatevi dietro una sportina riutilizzabile e, oltre a dare una mano all’ambiente, nessuno vi chiederà se volete acquistare una busta facendovi stare in cassa come stoccafissi perché non avete capito la domanda.

Ricordare tutte queste cose, in una lingua che non si conosce, vi sembra un’impresa da eroi? Prendetevi un po’ di tempo, ora o più tardi, per leggere il link qui sotto, che parla di tecniche di memorizzazione – a mio avviso, sempre utile anche in altri ambiti:


E ora che avete iniziato, buon proseguimento!


lunedì 17 luglio 2017

Cinque consigli caproni per disinnescare la vergogna di parlare – male – una lingua!

Il post di oggi non vuole offrirvi consigli “classici”, di metodologia di studio, di memorizzazione, o di qualsivoglia approccio alla lingua straniera; va però a scavare in una nicchia del nostro comportamento, che spesso ci attorciglia la lingua e ci secca la gola – metaforicamente parlando, ovvio: la vergogna. Ora, è perfettamente normale sentirsi “lo scemo del villaggio” quando si parla da stranieri una nuova lingua, soprattutto in un contesto in cui tutti gli altri sono madrelingua – al lavoro, a casa dei vicini, al parco con i bambini… La cosa che si dovrebbe evitare, però, è lasciare che questa vergogna ci impedisca di tirare fuori le nostre rudimentali capacità comunicative, limitando la nostra partecipazione a cenni della testa e sorrisi di circostanza, che oltre a farci rischiare una paresi facciale non ci fanno fare, tutto sommato, una miglior figura del parlare – anche male, sì!
Per aiutarvi in questo intento, che alle volte è più difficile del mettersi a tavolino e studiare a memoria declinazioni, paradigmi, liste di vocaboli o quello che volete, ho compilato una lista di consigli caproni, piccola quanto basta per potervela tenere a mente quando vi piglia la sudarella e vorreste scappare lontanissimo, pur di evitare di dire due parole in croce. Non dimenticate che l'esercizio fa il maestro, e che sbagliando si impara, e soprattutto che non ci sono più le mezze stagioni.

1.  La produzione passiva di una lingua viene sempre prima di quella attiva. “Che mi significa?”. Banalmente, significa che prima di essere in grado di “produrre” la lingua, sarete in grado di capire quando gli altri parlano. Fateci caso, magari ascoltate una notizia al telegiornale, o alla radio, e siete perfettamente in grado di ripetere quello che hanno detto nella vostra lingua, ma cascasse il cielo se ci riuscite in quella straniera. Ecco, il meccanismo è questo. Non buttatevi giù quindi, state solo seguendo lo sviluppo naturale dell’acquisizione del linguaggio.

2.   Voi, una lingua che sapete perfettamente, ce l’avete già. Ricordatevi questa cosa quando la confusione che vi regna in testa vi fa sentire l’ultima ruota del carro in mezzo a un caos di suoni sconosciuti. Voi state imparando una SECONDA (o anche terza, quarta ecc.) lingua, ergo avete una conoscenza in più rispetto agli altri, quindi non permettete che la vostra attuale immaturità comunicativa –che migliorerà certamente con il tempo - vi faccia sentire da meno.

3. Lasciate che l’interlocutore possa mettersi nei vostri panni. Non siete soli là fuori, non dimenticatelo mai. Molto spesso, forse più di quanto non si pensi, anche il nostro interlocutore madrelingua potrebbe avere qualcosa da dire sull'apprendimento di un'altra lingua. In Germania ad esempio, è molto diffusa l’abitudine di studiare le lingue straniere anche solo per passione, come hobby, con corsi serali (io insegno italiano in una scuola di questo tipo). Tantissime persone potrebbero perciò capire la difficoltà che fate voi nell’esprimervi correttamente, e anzi condividere con voi le difficoltà che loro stessi hanno avuto – una mia amica ad esempio si rammarica di avere una R troppo tedesca per essere in grado di pronunciare bene lo spagnolo, oppure la mamma di un amichetto della Maxi mi raccontava che quando venivano i suoi parenti dal Canada, lei capiva ma non riusciva a dire una parola e ci restava malissimo!

4. Esercitatevi al telefono. So che la maggior parte delle persone è spaventata dal telefono – e ci credo! Manca la comunicazione non verbale: il contesto, le espressioni facciali, la gestualità… eppure si potrebbe sfruttare questo “anonimato” a nostro vantaggio. Che ne sa chi siete, la persona dall’altra parte dell'apparecchio? Non ci mettete la faccia, in senso stretto, potreste tranquillamente incontrarvi per strada e lui/lei non saprà mai che siete voi che chiamate sbagliando i verbi/le parole/la costruzione della frase… approfittate allora per prendere appuntamenti, chiedere informazioni, farvi recapitare a domicilio, ordinare, prenotare qualsiasi cosa! Se vi sentite insicuri, scrivetevi quello che volete chiedere e leggetelo le prime volte, vedrete che presto non vi servirà più. E se non capite? Chiedete cortesemente di ripetere (lo sapete che una delle primissime cose da imparare nella nuova lingua è chiedere “mi scusi non ho capito, può ripetere per favore?”, vero?).

5.       … e quando tutto il resto non funziona… se tutto questo ancora non vi aiuta, cari miei, vi passo il consiglio dei consigli caproni, quello che da tempo immemore viene tramandato di generazione in generazione in occasioni pregnanti come esami, prove, test. Guardate bene il vostro interlocutore, mettete in moto la vostra immaginazione e provate a pensarlo in queste vesti:                       


Forse, la cosa più sgradevole che potrà capitarvi a questo punto, sarà di scoppiare a ridergli in faccia! Sconsigliato durante i colloqui di lavoro!

Signori, si scherza! – o forse no? 😜


Buona insalata a tutti!

lunedì 10 luglio 2017

SANGUA?!?!

Va bene, finora abbiamo voluto fare bella figura, abbiamo voluto tirare fuori nozioni e paroloni, sciorinare terminologie, addirittura azzardare di poter offrire consigli!
Ma la verità è, signore e signori, che alcune conquiste sono state fatte con sacrificio e sudore, e una dose massiccia di figuracce – una dose tale, direi, che potrei salire al terzo posto di un podio, da quanto ho la faccia di bronzo.

Vi racconto una storia. Si era al tempo dei primi, timidi passi in terra teutonica, ad uno stadio direi larvale di conoscenza della lingua tedesca, in cui già si considerava un risultato capire dove finiva una parola ed iniziava la successiva.
La Maxi, inserita in un asilo già un mese dopo il nostro arrivo, da qualche tempo nei suoi interminabili racconti mi nominava una parola che, alle mie orecchie ancora inesperte, aveva l’orribile suono di Sangua
Calma e gesso, mi sono detta, tu sei una linguista e non puoi farti intimorire dal suono di una parola! Eppure lo feci. Con una Maxi alle sue prime produzioni bilingui, incerta se quella parola fosse tedesca, un calco, o una parola italiana sgrammaticata (ad esempio, la coniugazione scorretta del verbo sanguinare, tipo “lui sangua”!), immaginavo scenari da Colosseo moderno, con bambini che lottavano a sangue, o che si sfasciavano la testa da qualche parte sotto l’imperturbabile sguardo di una maestra che dichiarava che così imparavano dall’esperienza. Ohibò, la bambina sembrava tranquilla e io, non riuscendo ad estrapolare la parola dal suo contesto, ho fatto finta di niente e lasciato correre. Fino a che non ne ho potuto più; eravamo nel parchetto di fronte al nuovo asilo e la Maxi, come al solito, raccontava a manetta la sua giornata, ed ecco riapparire la mefistofelica parola. Con nel cuore la tranquillità di chi si siede a tavola con un cannibale, provo a chiedere a mia figlia:

“Amore…”

“Eh?!”

“Ma tu, quando dici Sangua, esattamente cosa intendi? Voglio dire, che è ‘sta Sangua?”

“Ma mamma, è quella con la sabbia che giri, per segnare il tempo!”

Certo. Chiaro.

Sangua = Sanduhr
Cioè questa:

Un’innocua clessidra.

Si migliora, eh, sappiatelo! 

lunedì 3 luglio 2017

Bilingui per caso - plurilinguismi vari in famiglia

Abbiamo già parlato delle definizioni di bi- e plurilinguismo, abbiamo già chiarito che siamo praticamente tutti almeno bilingui e potenzialmente capaci di imparare ogni lingua (evvai!). Cosa significa ciò, che i tipi di bilinguismo siano tutti uguali? Direi di no – ok, non lo dico io, lo dice la linguistica, ma io non posso che trovarmi d’accordo.
Nella mia famiglia, siamo tutti e 4 cittadini italiani, in casa si parla solo italiano, eppure rientriamo ognuno in una categoria differente! Vediamo come questo sia possibile:

IO:
madrelingua italiana, nata e vissuta in Italia, come sapete conosco ad oggi 6 lingue, ma nessuna di queste è stata appresa da me in prima istanza in un contesto diverso da quello dello studio. Ho studiato tutte le lingue straniere che conosco, alcune le conosco meglio, altre peggio, alcune si sono specializzate in base alle esperienze lavorative, o di vita, che con loro mi hanno accompagnata. Il mio si potrebbe definire plurilinguismo consecutivo tardivo; ho appreso tutte le altre lingue dopo l’acquisizione della mia lingua madre, e la scolarizzazione. Attenzione, questo non vuol dire che superata questa età non si sia più in grado di apprendere le lingue, tutt’altro – sì, parolacce incluse!

MARITO:
madrelingua italiano, nato e vissuto in Italia, portatore sano del virus dell’”io non sono portato per le lingue!”, ha cercato di schivare il più possibile lo studio obbligatorio dell’inglese a scuola fino a quando il destino beffardo, guarda un po’, gli fa trovare lavoro in Germania. Niente, tocca studiare. E ce l’ha fatta, eh! Lo definiamo, suo malgrado, bilinguismo consecutivo tardivo.



LA MAXI:
madrelingua italiana, nata e vissuta in Italia fino ai quasi quattro anni, poi BUM, trasferimento in Germania, si va in un asilo dove non capisce un’acca, si autoproduce mal di pancia e mal d’orecchie psicosomatici (con conseguenti sensi di colpa e stracciamenti di vesti genitoriali, ovvio) e poi questo tedesco arriva, così come è entrato passivamente nella sua testa esce in maniera attiva sempre più fluente. Alle soglie della scuola elementare, con i suoi 6 anni e mezzo (abbiamo scelto per lei l’”anno del re”, ritardandole di un anno l’ingresso a scuola, per motivi che esulano da questo post, ma se vi interessasse l’argomento fatemelo sapere, potremmo approfondirlo insieme) la Maxi è fluente in entrambe le lingue, parla senza accenti (non evidenti almeno), conosce anche il meraviglioso dialetto locale (AAAAAAARGH!!!!), è un caso di bilinguismo consecutivo precoce: la sua madrelingua è l’italiano, ma l’apprendimento della seconda è avvenuto prima della scolarizzazione, in quel modo meccanico-sensoriale tipico dell’apprendimento precoce, che non è mediato dalla conoscenza pregressa di strutture grammaticali e dal ragionamento – come invece avviene negli adulti.

LA MINI:
la Mini, 9 mesi, ancora non parla, si sfoga in continue lallazioni in cui compare in continuazione MAMMAMAMMAMAMMA, ma anche PAPAPA, o anche MAMMAPAPA (e anche TETTE, vabbè), e così via. Il suo ambiente, benché sia prevalentemente italiano in famiglia, non è monolingue: sua sorella gioca continuamente in tedesco, la maggior parte delle persone che frequenta casa nostra parla tedesco, al di fuori della porta di casa si parla tedesco, la TV e la radio sono prevalentemente in tedesco. Il suo sarà un caso di bilinguismo naturale, è probabile che i suoi primi tentativi seri di comunicazione saranno un’insalata (ma va'?!) in cui mischierà parole di entrambe le lingue, ed è possibile anche che parlerà più tardi rispetto a bambini immersi in un ambiente monolingue, perché ha un registro di input più ampio da dover gestire. Nessuna paura, in ogni caso: se anche voi avete bimbi nella stessa situazione, sappiate solo dare loro il tempo che serve per selezionare e dividere i registri linguistici, che è quello che avverrà naturalmente crescendo, senza forzature.

E voi, in quale categoria vi riconoscete?

Per un velocissimo approfondimento sulle definizioni, per sapere in quale categoria rientrate, vi rimando a questo link: http://www.jezik-lingua.eu/it/13906/Che-cosa-significa-il-termine-bilinguismo


Anche questa volta, il contributo grafico è gentilmente offerto dalla Maxi.