Oggi è la giornata internazionale della donna. Non la festa.
Vabbè, direte voi, che differenza vuoi che faccia, “giornata”, “festa”… Eh, ma
io mi occupo di lingue, e di differenza, ne fa: perché la giornata di oggi
nasce per commemorare, e riflettere, e la condizione femminile a livello globale
ha ancora notevolissimi margini di miglioramento – come dire, c’è poco da
festeggiare.
La mia riflessione sulla giornata della donna si concentra
sul campo che più conosco, quello linguistico. La lingua, come sappiamo, non è
un sistema indipendente, che l’essere umano prende già pronto ed usa al bisogno,
ma una struttura complessa che si genera dalla necessità di comunicazione, ed è
un prodotto inscindibile dalla cultura in cui essa nasce, cresce e si modifica.
La lingua è figlia delle esperienze, del modo di concepire il mondo, dei
messaggi che si vogliono veicolare, conoscere la storia di una lingua vuol dire
conoscere la Storia. Sapevate, ad esempio, che nell’antica Roma repubblicana, le
donne dell’aristocrazia non avevano un praenomen
pubblico (che sarebbe il nostro nome proprio), ma venivano presentate solo con
il nome gentilizio, quello della famiglia a cui appartenevano? Gli storici sono
discordi nel dire se avessero un nome assolutamente privato, da non poter mai
pronunciare in pubblico, o non lo avessero affatto, resta il fatto che nessuna
donna di quell’epoca passata alla storia è conosciuta con il suo nome proprio,
anche se alle nostre orecchie suona come tale. Abbiamo fatto progressi, da quel
lontano 509 a.C.? Qualcuno certo, ma ancora non abbastanza: in Italia si
discute ancora, a volte ferocemente, se sia opportuno usare “sindacO” o “sindacA”
per designare una prima cittadina (anche qui, quante discussioni, ma “prima cittadina”
o “primo cittadino donna”?!), la parola “ingegnerA” sembra una parolaccia – in effetti
circa 34.800 ingegnere iscritte all’Albo nel 2017, in uno dei paesi con più
alta incidenza in Europa di laureate in ingegneria, non sembrano essere
sufficienti a sdoganare una mentalità retrograda e maschilista per cui “l’ingegneria
è una cosa da uomini!”. Usiamo l’articolo davanti ai cognomi delle persone solo
quando si tratta di donne (pensate un po’ a come chiamavate i vostri professori
e le vostre professoresse), chiamiamo “avventuriere” un uomo che va in cerca di
fortuna, magari anche con mezzi illeciti ma comunque con sprezzo del pericolo,
e con “avventuriera” intendiamo una donna che ha, nel 90% dei casi, una vita
equivoca e sessualmente promiscua (e quali altre avventure può avere una donna,
a parte quelle sessuali?). “Eh, ma saranno mai questi i problemi?” Sono
problemi anche questi, sì, quando non sono solo l’espressione di una consuetudine
dura a morire, ma di una mentalità ottusa e cieca di fronte al cambiamento. La lingua,
si sa, si modifica più lentamente di quanto non faccia la società in cui viene
espressa, ma noi cosa facciamo per permettere che la nostra lingua, e la nostra
società, cambino? Io sposo la posizione dell’Accademia della Crusca, che “consiglia
vivamente di aggiornarsi”. Al più presto, vogliamo che questa “giornata” si
tramuti davvero in una “festa”.
Vi lascio il link della pagina del sito dell’ONU dedicato
alla giornata della donna, in cui è possibile anche ascoltare l’accorato
messaggio del segretario delle Nazioni Unite, António Guterres:
Buona giornata della donna a tutti, donne e uomini - chè le distinzioni non ci servono!